Le osterie di Pietro Germi

Pietro Germi, "Il ferroviere"
Pietro Germi, "Il ferroviere"

Quando si parla di commedia all’italiana si citano sempre Monicelli e Risi, Risi e Monicelli, a volte Scola e Maccari (come sceneggiatori) oppure Age e Scarpelli. Pochi ricordano Pietro Germi, autore, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, di alcune commedie che sono diventate dei classici (Divorzio all’italiana, Sedotta e abbandonata, Signore & signori). Germi ha sempre scontato la sua vicinanza al partito socialdemocratico, il PSDI, ricordate? quello di Nicolazzi e Pietro Longo, di Tanassi e Saragat, quinto presidente della Repubblica. Adesso sono tutti socialdemocratici, ma mezzo secolo fa era un’eresia, per la sinistra significava essere a destra del PSI (figuriamoci nei confronti del PCI). Molta critica militante non vedeva di buon occhio le posizioni di Germi che fu così stroncato o semplicemente ignorato (chi volesse approfondire può consultare un bellissimo volume edito da Pratiche Editrice, ormai introvabile, credo, se non sul web o su qualche bancarella). Eppure Germi è stato un autore/attore/regista/produttore di primissimo livello, quella piccola borghesia che rappresentava (Signore & signori) era anche il suo mondo probabilmente. Ma Germi è stato anche un attore, con quella sua faccia un po’ cosi (era originario di Genova) da caratterista americano; è stato un memorabile Ciccio Ingravallo nel gaddiano Un maledetto imbroglio, è stato attore anche in pellicole di altri (Il rossetto di Damiano Damiani). Antidivo per antonomasia, Germi aveva una di quelle facce che ricordano certi zii che abbiamo avuto tutti, magari scapoli, un po’ donnaioli, che alle feste comandate si presentavano sempre un po’ in ritardo e se ne andavano un po’ prima (devo scappare, ciao ciao ciao…). Uno dei film che ho più amato di Germi è senza dubbio Il ferroviere. Ricordo le molte scene girate nelle osterie, le caraffe svasate di vino bianco sui tavolacci rustici, lui con il toscano in bocca e la chitarra a intonare stornelli con il resto dei suoi colleghi e amici. Ne Il ferroviere le osterie sono il “luogo di perdizione”, la via di fuga, l’oasi nella quale il protagonista, interpretato da Pietro Germi stesso, si rifugia per tenere lontano i crucci familiari. In questo film viene fuori perfettamente l’universo piccolo borghese di Germi (socialdemocratico?), l’attaccamento al lavoro, alla famiglia, il bicchiere con gli amici, ma soprattutto il rifiuto dello sciopero, non tanto per una posizione ideologica ma per dimostrare di essere ancora capace di svolgere il proprio mestiere. Tutto sembra risolversi con una cantata e un bicchiere di vino dei Castelli, non c’è cattiveria monicelliana in questo film, non ci sono rivendicazioni, anticonformismi (Germi non avrebbe mai potuto dirigere un film come I compagni), non vi sono guasconi un po’ cialtroni alla Gassman e Sordi. Le osterie nei film della commedia all’italiana, occasione di incontri, di avance, di abbandoni, sono spesso un microcosmo di rara umanità (in questo Scola è stato un maestro), altre volte sono l’ultima spiaggia per scroccare un pasto (vedi Sordi), altre volte sostituiscono il focolare domestico per scapoloni impenitenti, altre volte ancora sono teatro di battaglie a polipi in faccia (I nuovi mostri) oppure di tragedie (Spaghetti House di Giulio Paradisi). Chiudo con Guccini: “Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta, ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta: qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore e insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po' peggiore...”

 

 

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