Dolci seduzioni (La boulangère de Monceau)

"La boulangère de Monceau" di Eric Rohmer
"La boulangère de Monceau" di Eric Rohmer

I protagonisti della Nouvelle Vague sono tutti magri. Mangiare è per loro una perdita di tempo, assorbiti come sono dalla vita, fino all’ultimo respiro. Era magro Belmondo in A bout de souffle, era magro Jean-Pierre Léaud/Antoine Doinel in tutti i film di Truffaut, era magro Gérard Blain, Le beau Serge di Claude Chabrol, era magro Fred Junk nel racconto morale La boulangère de Monceau di Eric Rohmer che si concede qualche frutto comprato in una bancarella al mercato o un dolcetto presso la boulangerie (anzi più di uno, ma non perché ha fame; tra l’altro è bellissimo il gesto con il quale la boulangère incarta i dolcetti). Bistrot è caffè sono i luoghi dove vivono, tra pastis e Gitanes, partite a flipper e speculazioni filosofiche. Tra tutti i registi della Nouvelle Vague francese (come tutte le etichette, approssimativa, schematica e assai poco rappresentativa di tutte le individualità: che cosa hanno in comune l’hitchcockiano Chabrol con il romantico Truffaut, il rivoluzionario Godard con il colto e cerebrale Rohmer, il rigoroso Rivette con il formalista e individualista Malle? L’amore per il flipper e per Rossellini risponderebbe Truffaut), Eric Rohmer è certamente "le philosophe" del gruppo. La boulangère de Monceau è un mediometraggio girato nel 1962, il primo della serie dei Sei racconti morali. Chi conosce Rohmer sa della sua consuetudine di riunire in cicli la propria attività di autore: ai Sei racconti morali (dal 1962 al 1972) seguiranno il ciclo Commedie e proverbi (dal 1981 al 1987) e i Racconti delle quattro stagioni (dal 1989 al 1998), oltre ai diversi film per così dire “sciolti” come Il segno del leone o Reinette e Mirabelle. I film di Rohmer esigono un’adesione intensa e partecipata, direi un ascolto soprattutto, oltre che naturalmente una visione (regista attento all’aspetto formale e scenografico, Rohmer è stato autore di un fondamentale saggio dedicato all’organizzazione dello spazio nel Faust di Murnau). Il suono in presa diretta, i dialoghi fluenti - pretesto per imbastire riflessioni filosofiche morali - l’understatement dei protagonisti sono parte integrante del Rohmer touch. La boulangère de Monceau è illuminante in questo senso: Parigi in b/n, una voce narrante, due giovani studenti che passeggiano lungo un boulevard, il timido abbordaggio a una ragazza (Sylvie) che poi si nega al primo appuntamento e il ripiego presso la boulangerie dove la commessa Jacqueline sembra più accondiscendente e dove il protagonista, suo malgrado, si abbuffa di dolci (ricordo un gâteau lorrain). Ma poi all’improvviso Sylvie ricompare: il suo non era stato rifiuto ma un infortunio a una caviglia, dovuto quindi al caso. E sempre per caso aveva avuto modo, dalla sua finestra, di osservare il giovane studente entrare e uscire più volte dalla boulangerie. Il protagonista s’interroga, abbandona Jacqueline (con la quale non c’era stato nulla, se non un gioco di seduzione fatto di sguardi e dolcetti) e si mette con Sylvie. Dopo sei mesi si sposano. Rohmer utilizza il cibo, in questo caso i dolcetti della boulangerie, come arma di seduzione, ma al contrario. Il giovane studente non è attratto né dai dolci né dalla boulangère. I dolci sono un pretesto per aggirarsi nel quartiere alla ricerca di Sylvie: per non dare troppo nell’occhio lo studente inizia a entrare nella boulangerie trovandosi obbligato a comprare il primo dolcetto, poi un altro e così via. Alla fine quando il giovane chiede un appuntamento alla timida e riservata commessa, Rohmer utilizza come codice amoroso i dolci: se Jacqueline incarterà due dolci sarà un sì al loro primo appuntamento. Peccato che non servirà a nulla: Sylvie rappresenta la verità, Jacqueline un errore ovvero una scelta non morale.

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Commenti: 2
  • #1

    Carlo Turco (mercoledì, 22 agosto 2012 18:17)

    Che bella riflessione, grande Valerio!

  • #2

    valerio (venerdì, 31 agosto 2012 10:10)

    grazie Carlo!