La classe (non) è sangue. Su Christopher Lee

Christopher Lee in "Dracula" di Terence Fisher
Christopher Lee in "Dracula" di Terence Fisher

Per ragioni anagrafiche mi sono imbattuto in Christopher Lee abbastanza tardi, al cinema San Giorgio quando mio padre mi portò a vedere 007 L’uomo dalla pistola d’oro. Tra le varie sfighe di noi nati a metà degli anni Sessanta c’è anche quella di aver conosciuto 007 con quel bambolone di Roger Moore (che si salva però alla grande con Simon Templar e soprattutto con Attenti a quei duein coppia con Tony Curtis).

In un post precedente, Carne tremula, avevo già accennato al cibo degli zombies, ma adesso, passando al sangue, il cibo dei vampiri, vorrei omaggiare uno dei Dracula più famosi e spaventevoli, almeno per me, tralasciando le centinaia di film dedicati al principe delle tenebre. Il Dracula a cui mi riferisco è il primo della gloriosa Hammer Film, Dracula il vampiro (il titolo originale è Dracula che diventerà Horror of Dracula nella versione americana distribuita dalla Universal) di Terence Fisher, del 1958, con, oltre al Nostro (sono 7 i Dracula della Hammer interpretati da Christopher Lee), un’altra bella faccia come Peter Cushing nel ruolo di Van Helsing.

Quello che invece i vampiri non mangiano e non possono nemmeno sopportarne la vicinanza è l’aglio, che tuttavia nel film in questione si vede solo una volta, appeso nella locanda/taverna (l’insegna fuori ritrae due chiavi incrociate) quando compare Van Helsing per la prima volta. Sui poteri taumaturgici dell’aglio ci sarebbe da disquisire non poco, dallo spicchio sotto il cuscino per scacciare i vermi alle punture delle vespe che miracolosamente scompaiono sfregando uno spicchio sulla ferita.

Tra l’altro la sequenza ha un efficace movimento di macchina che - partendo dalla treccia dell’aglio - scruta con attenzione il locale soffermandosi sui particolari, tipo una sorta di tabernacolo contenente forse dell'acqua santa e un crocefisso, e staccando infine sulla porta d’ingresso. Van Helsing entra ma è inquadrato di spalle, e mentre la macchina da presa lo segue rivela lo sguardo diffidente degli avventori (cliché assai inflazionato in questi film: avete presente Un lupo mannaro americano a Londra?).

Se l’aglio compare poco, è il crocifisso la vera arma letale per i vampiri, anche in forma improvvisata come nella scena finale quando Van Helsing imbraccia due candelabri e li intreccia a croce latina. Chi volesse approfondire su usi e costumi dei vampiri può leggere Il libro dei vampiri di Fabio Giovannini, una vera bibbia sull’argomento.  

Ma un’altra sfiga di noi nati a metà degli anni Sessanta è che molti film che abbiamo visto in tv erano in bianco e nero, quando invece erano stati girati a colori (e che colori!), quelli sfavillanti del Technicolor. Per cui i miei ricordi sono indelebilmente legati al b/n, quasi una censura preventiva per minorenni, un po’ come negli anni Settanta quando i produttori obbligavano i registi a utilizzare un filtro per le scene più violente (è il caso per esempio della scena della strage in Taxi Driver).

Rivedendo Dracula il vampiro a colori mi sono reso conto di aver perso: i titoli di testa color rosso in stile gotico; le sfumature dall’ocra al marrone degli splendidi abiti di Van Helsing (nel corso del film indossa magnifici abiti e cappelli, cappotti con colletto in pelliccia di volpe, una giacca in velluto color bordò, un havelock blu alla Sherlock Holmes e, in una scena, tira fuori dalla tasca un fazzoletto rosso fiammante); le rosse labbra carnose di Mina; il repentino passaggio dalle luci alle tenebre; il viso spettrale di Dracula addormentato nella bara; la camicia da notte color turchese di Lucy; la mantella verde di Mina quando vaga nella notte; la cicatrice rossa a forma di croce sulla fronte di Lucy o sul palmo della mano di Mina e, soprattutto, i tendaggi rossi che vengono strappati da Van Helsing nell’ultima mitica scena, quando la luce disintegra il vampiro riducendolo in cenere, spazzata via col vento. (Questo post è dedicato a Giuseppe Lippi).       

 

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